“Questa sera andiamo a vedere il Panevin” esclamo tutto entusiasta alle mie due bambine sedute sui sedili posteriori dell’auto! “Che cos’è il Panevin?” – chiede la più grande. “Il Panevin è un grande mucchio di canne di mais e tralci di vigna ammassati attorno ad un palo di legno di acacia che viene bruciato ogni anno nella sera del cinque gennaio”. Entrambe rimasero in silenzio, miste fra la curiosità e l’incredulità. E mentre continuavo a guidare l’auto in quel freddo pomeriggio indicavo loro i vari falò in costruzione che scorgevo per strada. Nelle nostre zone è ancora molto forte la tradizione del Panevin. Ogni famiglia poi ha le sue peculiarità “caratterizzanti”; c’è chi lo prepara con sopra un manichino che rappresenta “a vecia”, chi ci mette delle pannocchie di mais, chi lo fa alto e stretto, chi a base larga e poi su…ma la cosa che tutti si augurano mentre lo preparano è che prenda fuoco e che la fiamma divampi quasi per incanto in un bellissimo falò. Deve bruciare tutto.
Sara ed Elena da questa novità erano elettrizzate. Non sapevano ancora bene che cosa fosse, ma erano certe che sarebbe stata una cosa straordinaria. La certezza della loro impazienza all’evento l’ho potuta constatare nella velocità con cui si sono preparate quando ho detto: “ANDIAMOOO, PREPARASI PER IL PANEVIN!”. L’appuntamento era fissato alle 18 a casa di Tarcisio Venturato. Ecco, anche l’ora di accensione del Panevin è una costante da mantenere..ci sono famiglie che lo accendono alle 17, chi poco dopo…non c’è una regola. Si sa che andrebbe acceso al calar del sole. Nel campo arato, ricoperto di paglia per non sporcarsi le scarpe dal fango, si radunano molte persone del vicinato. La tradizione vuole che sia il più piccolo dei presenti a dare fuoco. Quest’anno è stata la volta di Leone che lo ha acceso assieme al nonno Natalino grazie ad una fiaccola.
Elena, la più piccola delle mie bambine, mi ha preso per mano e mi ha detto: “papà, è questo il Panevin?”. “Si Elena, questo è il Panevin” risposi. L’atmosfera buia e silenziosa della campagna si è riempita all’improvviso di un un’enorme bagliore di luce e Davide ha gridato ad alta voce: “Paneviiiin, Paneviiiin, a vecia sotto el camiiin, Paneviiin”. Un tempo
gli anziani e tutti in coro intonavano questa filastrocca e gridavano forte “Paneviiin”, ma la cosa più importante di tutto questo trambusto è la direzione che prende il fumo o le faville. Perchè è da questo che gli anziani sostengono che arrivi l’indicazione dell’ abbondanza o meno del raccolto dell’anno che sta per iniziare. Anche nella contrada dei Venturato hanno iniziato a interrogarsi a tal proposito. Paolo, uno dei vecchi fratelli di Tarcisio e Natalino ha guardato il cielo e con tutta la sicurezza della sua età ha affermato convinto: “il fumo va a Ponente: panocie niente!”. Guido invece per conto suo ha ribattuto: “il fumo va a Levante: panocie tante!”. E questo è un tipico esempio di quello che accade spesso in questa occasione. Che il fumo vada a Ponente o Levante implicherebbe rispettivamente un cattivo o buon raccolto. Ma spesso gli osservatori dello stesso evento non concordano sulla direzione… e lo stesso Panevin può produrre un fumo che per alcuni va a Levante, per altri a Ponente. Anche questo rende il tutto divertente, non credete?
Quando il manichino “dea vecia” è bruciato completamente ci siamo spostati attorno a un vecchio carretto di legno dove tutti i presenti hanno potuto assaporare un buon vin brulé, thé, sette tipi di pinza (come vuole la tradizione perché sia di buon auspicio) e cioccolatini.
Finiti i convenevoli ognuno si è riunito nelle proprie abitazioni per proseguire la festa con la tradizionale cena.
Io e la mia famiglia siamo andati a casa dei miei suoceri. Da un po’ di anni dai Borga non si accende più il Panevin perché abitano in un centro abitato e le nuove normative hanno un po’ ristretto la possibilità e la fattibilità di questo tipo di eventi, ma è rimasta comunque la voglia di riunirsi con parenti ed amici per mangiare l’immancabile piatto “saeame cotto e poenta brustoeada”.
Molte famiglie in questa notte festeggiano mangiando tante prelibatezze della nostra terra. Ma il cibo è la scusa per trovarsi in famiglia, per stare insieme, per giocare a carte o a tombola e per i più piccini è l’attesa dell’arrivo della Befana che a volte arriva davvero portando calze e sacchetti per tutti. Una serata piena di allegria, di risate, di buon cibo. Serate che rimangono nel cuore di vecchi e piccini, momenti che ogni anno speri di rivivere con tutti quelli che l’anno prima hanno riso alla stessa tavola con te.
Qualche cenno di storia popolare:
Nei tempi più remoti le famiglie si recavano a rotazione nei Panevin dei vicini di casa per la benedizione. C’era una vera e propria rivalità tra le famiglie per la costruzione del Panevin più alto tanto da spingere alcuni malintenzionati a peccare di gelosia a tal punto da spingerli ad appiccarvi il fuoco prima dell’ora.
Il Panevin, che ricorre ogni 5 gennaio, è un antico rituale pagano sviluppatosi per mezzo di credenze e superstizioni contadine popolari del Veneto Orientale.
“A vecia” che viene bruciata sopra il falò rappresenta il passato e il maleficio, pertanto bruciarla significa ricominciare l’anno bene e con un ottimo raccolto se il vento spinge il fumo e le faville verso Levante. Il vento che proviene dal Lago di Garda, quindi da sud-ovest porta le piogge necessarie per far crescere la semina, mentre il vento freddo che proviene da nord-est porta siccità. Per il cristiani il Panevin ha mantenuto la sua forma con l’aggiunta della benedizione prima dell’accensione per scacciare il demonio e il rosario al rientro nelle case.
La tradizione vuole che la sua accensione avvenga per mezzo del minore di età della famiglia o della contrada.
Nella sera del Panevin arriva anche la Befana, una vecchia signora che porta i doni e che fin dall’antichità ha rappresentato la fertilità della terra che è ben diversa dal fantoccio bruciato sopra il falò. Gli anziani raccontano che quand’erano bambini l’arrivo della Befana era l’unica festa nella quale ricevevano dei doni poiché il Babbo Natale è una tradizione che si è aggiunta in anni più recenti.
C’è poi la tradizione di mangiare sette tipi di pinza per aumentare la fortuna. In realtà questo rituale risale a molti anni fa quando i ragazzi celibi delle famiglie contadine venivano inviati in sette case diverse per assistere al Panevin con la speranza di aumentare la possibilità di fidanzarsi con qualche ragazza nubile.
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