Il Filò
Nelle sere d’inverno, poco dopo il mese di ottobre, terminata la cena e prima di andare a letto, l’unico modo per scaldarsi nelle case dei contadini era quello di trascorrere del tempo nella stalla. I casati erano molto numerosi e in un’abitazione potevano convivere dalle tre alle quattro famiglie. Non esistendo il riscaldamento a metano, la televisione e l’iphone, il trovarsi tutti assieme in un luogo caldo era l’unico modo per poter socializzare dopo la giornata appena trascorsa. L’ambiente in questione permetteva alle persone più anziane di riposarsi nel fieno, di giocare a carte, o di raccontar qualche fiaba ai “putei” (bambini piccoli), agli uomini di intrecciare i cesti, impagliare le sedie, o fabbricare arnesi da lavoro e alle donne di rammentare qualche indumento rotto e di filare. Appunto filare. Da qui prende il nome tutto questo sistema; il filò.
La fabbricazione degli strumenti da lavoro per gli uomini avveniva dopo un’attenta preparazione della materia prima, ossia il legno. Per costruire ad esempio i “sesti” (cesti) o i “senti dee careghe” (sedute delle sedie) si utilizzavano i “venchi” (rami di salice da vimini o salix viminalis) messi a bagno nell’acqua alla mattina per renderli più malleabili.
L’elevato numero di analfabeti permetteva, all’interno del filò, di tramandare oralmente la conoscenza acquisita nel tempo. Questo non significava che gli individui fossero ignoranti. Qualcuno sapeva leggere e scrivere dopo averlo imparato dalla Bibbia, unico libro a disposizione e più economico.
La stalla accoglieva anche persone non appartenenti allo stesso nucleo famigliare e questo permetteva uno scambio di informazioni tra di loro spesso raccontate sotto forma di satira o ironizzate. Questo tipo di socializzazione faceva interagire le persone, tanto da poter, in alcuni casi, permettere di organizzare delle sommosse contro i padroni o le autorità e pertanto queste ultime non erano favorevoli al filò. Anche la Chiesa ne faceva parte dopo il Concilio di Trento.
Il filò era anche il luogo dove le “tose” (ragazze), pronte da maritare, potevano “far la tira” (conoscere) al loro “moroso” (ragazzo) mantenendone le dovute distanze e senza cadere nella tentazione e pertanto nel peccato. Alcune di loro coglievano l’occasione di preparare la dote, costituita da qualche povero indumento per affrontare il matrimonio.
Durante l’inverno nella stalla capitava di festeggiare qualche ricorrenza. Ad esempio ancor oggi si costuma dire: “a San Simon tùte le femene a rebaltòn”. San Simone si festeggia il 28 ottobre e in quell’occasione le famiglie dei contadini mangiavano “cibo esotico” ossia castagne e carrube accompagnate da vino nuovo (da non confondere con il vino novello). Le donne, che abitualmente non bevevano vino, in questa festa lo sorseggiavano tanto da ubriacarsi con facilità e perdendo in questo modo l’equilibrio. Ottobre è anche il mese del Rosario e in questo periodo nelle stalle si provvedeva a recitarlo.
I personaggi delle favole venete
Come già detto in precedenza, il filò era un luogo in cui i bambini e gli adulti potevano ascoltare e raccontare delle fiabe o delle filastrocche. Il narratore solitamente utilizzava dei personaggi tradizionali e presentava la fiba cambiando il racconto, in base a quello che aveva colto negli anni, al suo umore e alle sue paure.
I personaggi si distinguevano nel seguente modo:
Anguana: Una donna molto affascinante, alta e con i piedi caprini che abita nell’acqua. Si porta presso i torrenti per fare la “issia” (lavare gli indumenti utilizzando la cenere come detersivo) e nel tramite lancia delle forti urla per sedurre gli uomini. Se un uomo sposa una Anguana, che durante il giorno è una normale donna, il matrimonio può funzionare normalmente, però l’uomo deve lasciare che questa si rechi regolarmente il giovedì sera agli incontri con le altre Anguane. Se il marito tenta di seguirla e la Anguana lo scopre lei si trasforma in un serpente per tutta la vita. Attorno alla figura della Anguana il racconto viene in varie occasioni modificato, però la sua immagine di donna metà umana e metà animale rimane intatta.
Vecia: Donna vecchia e cattiva che urina per la strada e taglia le gambe “ai putei” (bambini). Ad esempio, quando i bambini non volevano andare a letto li si minacciava dicendogli che sarebbe arrivata “la Vecia” a portarli via se non avessero ascoltato i genitori. Nel falò Panevin di solito si brucia la Vecia che rappresenta il male.
Befana: Al contrario della Vecia, la Befana viene rappresentata come una donna anziana e buona, che porta i regali il giorno 6 di gennaio.
Rododesa: Ro-dodesa (dodese = dodici) E’ diffusa maggiormente sul territorio del Bellunese. Si tratta di una donna brutta e vecchia che appare a mezzanotte e che si reca presso le stalle a tormentare le “tose” (ragazze) che fanno il filò. Ha il potere di fermare l’acqua dei torrenti per passare seguita dai suoi seguaci. Le altre persone, non coinvolte, che tentano l’attraversamento vengono inghiottite dall’acqua. La Rododesa ferma le acque tra i torrenti Nis e Cordevole.
Fate o Fade: Sono delle donne morte da parto che vagano per il mondo. Sono brave, buone, bellissime e con poteri magici. Insegnano agli uomini a produrre il burro, la ricotta e il formaggio nonché a fare i mestieri di casa. Possono essere anche cattive quando hanno i piedi caprini. Se vivono in casa si comportano bene mentre se gli uomini le vedono per strada queste si vendicano.
Smara: La Smara è un incubo notturno. Si tratta di una strega che durante la notte si siede sul petto della persona che dorme e tenta di soffocarla. La Smara si presenta anche quando una persona sbaglia a recitare il “Credo”, bestemmia, oppure ad un marito che si lamenta di avere per l’ennesima volta la moglie incinta.
Pesarol: E’ uno gnomo che ha la stessa funzione della Smara, ossia disturbare il sonno. Nei Sette Comuni, ad Asiago, quando la persona si risveglia dopo aver fatto un incubo si mette a recitare una formula per allontarlo.
Mazzariol, Massarol, Salvanelo: E’ un uomo piccolo e vestito di rosso, molto conosciuto per i suoi dispetti, tra i quali: toccare il seno alle donne, “ingroppar e code ae vacche” (annodare la coda alle mucche) e far perdere l’orientamento alle persone. Bisogna stare attenti a non pestare le tracce del Mazzariol altrimenti si perde l’orientamento e non si torna più a casa. Se la persona vuole ritornare sui propri passi deve per forza di cose vestirsi con gli indumenti al rovescio. Il Mazzariol è anche bravo con gli uomini in quanto gli insegna a fare il “butiro” (burro) e il “puinat” (ricotta) senza voler qualcosa in cambio, altrimenti non si fa più vedere. Il Mazzariol solitamente lega le code delle mucche durante la notte del sabato in quanto cerca di impedire al contadino di andare in chiesa il giorno di festa successivo. Il contadino che alla domenica deve mungere le sue mucche non può slegare le code del bestiame fin che un prete non le ha benedette, altrimenti queste muoiono.
Om salvarec: E’ un uomo selvaggio che vive nel Bellunese e assomiglia al Mazzariol, ma è vestito di verde. Ancor oggi in alcune Malghe viene festeggiato, in quanto anche lui si protrae nell’aiutare gli uomini a fare il formaggio.
Basilisco: E’ lo spirito di un defunto trasformato in drago. Si presenta con il corpo di una biscia, la cresta del gallo, la coda arricciata, ha lo sguardo magico che incanta le persone e un alito stregato. Se il Basilisco sputa in faccia alle persone le può far morire. Questo personaggio delle fiabe lo troviamo anche nella favola di Herry Potter in quanto è stato tramandato dai Celti che ci accomunano.
Lumiera o Lumeria: E’ un’anima del purgatorio che vaga e cerca di catturare gli uomini che alla sera rincasano tardi.
Orco: Non è come pensiamo noi di solito quando lo rappresentiamo come un uomo cattivo, bensì si presenta di notte come un uomo grande, vestito di nero e burlone. Fa perdere l’orientamento alle persone e combina molti malanni, che durante il giorno vengono riparati dalla moglie detta Orchessa.
…Una chicca…
Roberta: “Mi ricordo che a casa mia il filò veniva fatto in cucina… Nel mese di maggio si andava al “fioretto” in chiesa, mentre nel mese di ottobre c’era il rosario e pertanto si faceva quello. Quando si osservava la quaresima mia nonna faceva le frittole e le friggeva con lo strutto e il mercoledì delle ceneri quelle avanzate le gettava alle galline. Le mangiavano solo il giorno di martedì in quanto lo strutto conteneva carne. C’era un rispetto rigido dall’astensione alle carni. In tutta la quaresima bisognava mangiare poco in quanto bisognava digiunare. Nella settimana santa c’era “la crisi mistica” . Il giovedì sera funzione in chiesa con la lavanda dei piedi, nel pomeriggio del venerdì a casa mia mettevano i balconi della casa a “coppo” in segno di lutto perchè era morto Gesù, alle ore tre pomeridiane bisognava andare in chiesa a baciare la croce. Tutto questo cupore era rotto da mia nonna che impastava le “fugasse”. Non potevamo accendere la radio, andare a ballare e cantare. Tre giorni di martirio. In questo caso stò parlando degli anni settanta del novecento e non dell’ottocento. Tutte le comunità contadine che erano legate a queste tradizioni hanno saputo mantenerle e tramandarle fino ai primi anni ottanta del nocente. Se oggi le racconto a mia figlia lei si mette a ridere.
Ringraziamenti: Roberta Moretto per la testimonianza e Antonio Mucelli per l’ospitalità presso il “Bar da Elio” a San Donà di Piave.
Brava Roberta, poche persone,anche della nostra età, conoscono queste abitudini tipicamente contadine. Con immenso piacere ho letto e rivissuto ricordi di quando ero bambina, GRAZIE!!!
commovente ricordare tante cose che sono state in passato cose giornaliere grazie