In primo piano: cartolina originale facente parte di una serie dedicata ai Reparti d’Assalto, commissionata dalla FNAI, disegnata da Vittorio Pisani (1899-1974) negli anni ’30. Collezione Antonio Mucelli.
Michele: Chi erano e come sono nati gli Arditi della Prima Guerra Mondiale?
Antonio: La fondazione dei Reparti d’assalto italiani fu un avvenimento fondamentale, che cambiò il modus operandi del nostro esercito, oltre che dare un contributo significativo alle sorti del primo conflitto mondiale, specie nelle più importanti battaglie, come quella del Solstizio nel giugno 1918 e quella di Vittorio Veneto nell’ottobre seguente.
È certo che nessuno tra i corpi del Regio Esercito, che combatterono la Grande Guerra, colpì l’immaginazione popolare quanto quello degli Arditi, rappresentando al tempo stesso una delle principali e più originali innovazioni militari dell’epoca, per addestramento, uniforme, armamento e tecnica di combattimento.
La loro nascita fu il risultato sia delle sperimentazioni di alcuni brillanti ufficiali italiani, alla ricerca di una soluzioni allo stallo della guerra di trincea, che di informazioni carpite al nemico nel gennaio 1917 sulla formazione nelle file austro-ungariche di speciali truppe d’assalto, denominate Sturmtruppen, mutuate dall’esercito tedesco.
Nel marzo del 1917 il Comando Supremo inviò la circolare n.6230 in cui comunicava ai Corpi d’Armata, sino al livello dei comandi di brigata, l’esistenza di questi reparti, allegando copia del loro particolare programma addestrativo di 12 giorni, tenuto a Levico, “affinché la conoscenza dei metodi d’azione seguiti dall’avversario offra il mezzo, non solo di opporvisi con adeguati procedimenti, ma altresì di adottare, ogni qual volta se ne presenti la convenienza, analoghi sistemi”. Questa circolare fece evolvere l’ardito, da semplice qualifica per atti di valore compiuti durante il servizio in trincea, a militare selezionato tra i migliori del proprio reparto e destinato ad un corso speciale al fine di apprendere tecniche d’assalto e colpo di mano contro posizioni fortificate, di lotta corpo a corpo e d’impiego di varie tipologie di armi.
A distanza di pochi mesi maturò l’idea di riunire i frequentatori di tali corsi in reparti organici autonomi alle dirette dipendenze di grandi unità, sancendo così una netta distinzione dalle Sturmtruppen, Un’ulteriore netta differenziazione si ebbe nel 1918, quando il Comando Supremo decise di raggruppare numerosi reparti per costituire una Divisione d’assalto (10 giugno) e poi addirittura un intero Corpo d’Armata d’assalto (27 giugno).
Tornando alla loro genesi, la circolare n.111660 del 26 giugno 1917, vero atto di nascita dei Reparti d’assalto italiani, dispose che i comandi d’armata costituissero, sotto la data del 1° luglio, un’unità della forza di almeno una compagnia, formata esclusivamente da volontari.
La 2^ Armata del generale Capello fu la più sollecita a mettere in pratica le richieste del Comando Supremo, forte di alcune positive esperienze fatte in azione dai plotoni speciali della brigata Lambro e della 48^ Divisione, nonché del campo di addestramento istituito a Russiz, vicino a Gorizia, dal generale Grazioli, comandante della brigata Lambro.
La scuola delle truppe d’assalto venne affidata al neopromosso tenente colonnello Giuseppe Bassi, che scelse come sede la zona
collinare di Sdricca, sopra Manzano, un paese a metà strada tra Udine e Gorizia. Qui confluirono tutti i volontari della 2^ Armata, dando vita al I Reparto d’assalto, formato da una compagnia di bersaglieri e due compagnie di fanteria. La scuola venne ufficialmente inaugurata il 29 luglio 1917 alla presenza del re Vittorio Emanuele III, del principe di Galles, del principe ereditario del Belgio, del generale Cadorna, del generale Capello, del comandante della 3^ Armata, Emanuele Filiberto duca d’Aosta, di ufficiali italiani e stranieri addetti al Comando Supremo e di molti giornalisti. Agli ordini del capitano Maggiorino Radicati da Primeglio la 1^ compagnia del Reparto dimostrò la nuova tecnica di combattimento con la presa della cosiddetta “collina tipo” e di una caverna con aggiramento, destando l’ammirazione di tutti i presenti.
Tra agosto e settembre vennero formati altri cinque reparti, mentre numerosi ufficiali vennero inviati a Sdricca per apprendere le tecniche di addestramento in modo da poter avviare la creazione di reparti d’assalto presso le proprie armate.
I clamorosi successi riportati dagli Arditi di Sdricca sulla Bainsizza e in particolare sul Monte San Gabriele (4 settembre 1917) ebbero il sopravvento sull’indecisione di chi temeva di impoverire i reggimenti inviando i migliori elementi presso questi reparti speciali.
Borgnano, piccolo borgo situato tra Medea e Cormons, a pochi chilometri dall’Isonzo, divenne l’equivalente di Manzano per la 3^ Armata, ovvero la città degli Arditi. Inizialmente vi erano solamente un gran numero di baracche adibite al ricovero delle truppe a riposo. Una compagnia del genio lavorò alacremente per giorni al fine di riparare ed ingrandire quella che sarebbe stata la nuova dimora degli aspiranti Arditi che affluivano dai diversi reggimenti dell’Armata.
Michele: Come avveniva l’addestramento dei Reparti d’Assalto?
Antonio: L’addestramento, da 2 a 4 settimane di durata, era estremamente impegnativo e studiato minuziosamente. Comprendeva sia attività individuali (esercizi ginnici, combattimenti corpo a corpo, prove di coraggio e prontezza di riflessi), che azioni coordinate di gruppo, con ampio uso di bombe a mano e sotto l’arco di fuoco di mitragliatrici e cannoni, che spesso provocarono feriti e a volte persino qualche morto. La prova finale per conseguire il brevetto di Ardito era la fedele riproduzione di una vera operazione d’assalto a posizioni trincerate. Inizialmente la selezione degli uomini fu su base volontaria, tra i più coraggiosi, esperti e affidabili. Vennero rimandati ai reggimenti di provenienza tutti quegli elementi che al corso di addestramento non dimostrarono doti adatte a questo nuovo tipo di soldato, “speciale” per azioni speciali e particolarmente rischiose.
Agli Arditi, in cambio, vennero concessi vari privilegi: migliore trattamento economico, licenze premio, rancio ricco ed abbondante, alloggiamenti comodi e nelle retrovie, nessun servizio di trincea e di corvè.
Michele: Com’era l’uniforme che vestivano gli Arditi?
Antonio: Anche l’uniforme venne accuratamente studiata dal Bassi in modo da essere funzionale e distintiva.
La giubba era quella dei bersaglieri ciclisti, modello 1910, ma a “collo risvoltato e aperto”, una autentica novità a livello di tutti gli eserciti. Tale apertura permetteva una migliore aerazione del corpo. Sulla schiena aveva un’ampia tasca alla “cacciatora”, per i petardi o le bombe a mano.Verso la fine del conflitto questa giubba venne modificata, eliminando l’ultimo bottone al collo con soppressione del relativo occhiello, creando una variante, nota come “giacca tipo Arditi”.
Gli altri elementi del vestiario erano maglione a girocollo in lana a coste o camicia grigio-verde in flanella, con cravatta nera, pantaloni leggeri al ginocchio da alpino o bersagliere ciclista, che rendevano più agile il movimento, fasce mollettiere, spesso sostituite da calzettoni di lana a coste (più comodi e rapidi da indossare), e scarponcini per armi a piedi modello 1912, ma anche i mod. 1912 per alpini, con bullette (borchie-chiodi), sulla suola.
Michele: Quale distintivo portavano gli Arditi?
Antonio: Altro elemento caratteristico fu il distintivo da braccio, cucito sulla manica sinistra a metà tra la spalla ed il gomito, adottato con la circolare n.455 del luglio 1917: un gladio romano, simbolo di onore e coraggio, con pomolo a testa di leone, simbolo di forza, o a testa d’aquila, simbolo del potere, iscritto tra un serto d’alloro a sinistra, simbolo di vittoria, e una fronda di quercia a destra, simbolo di lealtà e forza. Il nodo Savoia legava i rami all’arma sulla cui guardia campeggiava il motto FERT, altro riferimento alla casa regnante.
Sono incerti sia l’origine che il significato di tale motto, che comparve per la prima volta sul collare dell’Ordine del Collare, fondato nel 1364 da
Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde. In assenza di documenti che accertassero il significato di quel motto, nel corso del tempo si sono sviluppate varie interpretazioni. Per alcuni è l’acronimo latino di “Fortitudo Eius Rhodum Tenuit” (La sua forza preservò Rodi), in riferimento a un episodio leggendario, ma privo di base storica, di un Amedeo di Savoia. Per altri è la terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo latino fero. Nel significato esteso di “sopportare” in associazione al nodo Savoia, che alludeva alla indissolubilità del legame del cavaliere alla sua dama, farebbe riferimento a una caratteristica dell’ordine cavalleresco e della monarchia sabauda. Altra spiegazione è che si tratti dell’accorciamento dell’antica parola Fertè, che significa Forteresse, ovvero Fortezza.
Tornando al distintivo, era ricamato a macchina o a mano in canottiglia dorata per gli ufficiali, argentata per i sottoufficiali e in filo nero per la truppa. In ogni caso lo sfondo era in panno grigio verde, ad eccezione di quello destinato all’uniforme da cerimonia, dove lo sfondo previsto era nero.
In alcuni casi si è constatato che tale distintivo era cucito sulla manica destra della giubba o addirittura sul copricapo (modello 1909 a tubo, scodellino o fez nero). Proprio in onore e memoria degli Arditi, attualmente il distintivo di specialità degli incursori del IX Reparto d’assalto, Col Moschin, è tornato ad essere lo stesso!
Dal 16 agosto 1917 vennero introdotte le mostrine di colore nero a due punte, da cui il termine “Fiamme Nere” con cui vennero spesso indicati gli Arditi.
La scelta del nero fu un omaggio del Bassi al patriota risorgimentale Pier Fortunato Calvi, suo bisnonno per parte di madre, ad uso indossare una cravatta nera, simbolo dei carbonari veneziani, che avevano liberato Manin e proclamata nuovamente la Repubblica Veneta. Dopo aver combattuto gli austriaci in Cadore nel 1848, venne impiccato a Mantova nel 1855 per aver capeggiato un altro tentativo di rivolta in quella zona.
Il nero non fu l’unico colore degli Arditi. Infatti vennero mantenute le mostrine cremisi nei reparti costituiti da Bersaglieri e verdi nei reparti Alpini, che pure non rinunciarono al loro tipico copricapo.
Una vera e propria chicca, scoperta nel libro “Misticismo eroico” di Luigi Emanuele Gianturco, pubblicato nel 1941 da Arnoldo Mondadori, riguarda l’origine del fez nero, altro elemento tipico degli Arditi. L’idea fu del maggiore Domenico Ottanelli, comandante dell’XI Reparto d’assalto, alle dipendenze del generale Cattaneo. Durante una sosta nei dintorni di Villafranca di Verona, si procurò dai magazzini di rifornimento di Mantova, dal deposito del 7° Bersaglieri di Brescia e dal reparto Bersaglieri di Verona, 1.200 fez cremisi (quelli in uso tra i fanti piumati). Decise però che li voleva neri, come il colore scelto per le truppe d’assalto.
Gianturco così scrive: “Ottanelli ci raccontò: Un giorno che anch’io avevo fatto una scappata a Milano, tra i compagni di viaggio in treno c’era un industriale fiorentino col quale stavo appunto trattando l’argomento della tintura dei fez. La cifra occorrente, anche se modesta, oltrepassava il mio stipendio mensile, e francamente mi dispiaceva rimandar la cosa alle lunghe. Breve: l’industriale, preso dal mio entusiasmo, decise di tingerli gratis. L’abbracciai dalla gioia. Due Arditi scortarono a Firenze i sacchi dei berretti rossi e li riportarono neri.”
Superate le difficoltà di far accettare agli Arditi questo nuovo copricapo, vi era pur sempre il regolamento che vietava di alterare il colore e la foggia militare. Ma il 24 maggio 1918 il XII Corpo, organizzò una gara, alla quale parteciparono gli Arditi di Ottanelli col fez nero. Nasi arricciati, bocche più o meno storte salutarono l’innovazione, ma poi a gara ultimata, il capo di Stato Maggiore del Corpo d’Armata, generale Assum, d’intesa con S. E. Cattaneo, ne autorizzarono l’uso, limitandolo però ai soli accantonamenti. Poi con la costituzione della 1^ Divisione di assalto, il Reparto andò a Mestrino, vicino a Padova, dove il generale Zoppi, comandante della Divisione, permise l’uso di tale berretto, finché con la costituzione del Corpo d’Armata d’assalto, generale Grazioli, il berretto a fez nero dilagò in tutto il Corpo d’Armata.
Michele: Quali armi utilizzavano gli Arditi?
Antonio: L’arma principale, voluta anch’essa dal Bassi e che maggiormente alimentò il mito guerriero degli Arditi, fu il pugnale, adatto a colpire silenziosamente il nemico, meno ingombrante della baionetta ed ideale nei combattimenti corpo a corpo negli angusti spazi delle trincee. Questo poteva essere di tipo “regolamentare”, oppure a “manico di lima”.
Entrambi erano ottenuti dall’accorciamento e riutilizzo delle baionette del vecchio fucile Vetterli-Vitali, modello 1870, ormai troppo lunghe per le nuove esigenze di una guerra di trincea.
Anche il fodero ebbe la stessa origine. Il pugnale aveva una lunghezza complessiva di 28 cm, di cui 18 cm di lama. Nel primo modello le guancette erano di legno e venivano fissate mediante due ribattini al codolo del pugnale. Il pugnale a “manico di lima” venne prodotto contemporaneamente al “regolamentare” (anche se taluni testi riportano che sostituì l’altro modello), al fine di ridurne i costi di produzione. Esistevano varianti con impugnatura più tozza e corta, altre con guardia diritta, altre ancora con guardia contraria alla lama.
Gli Arditi, comunque, non disdegnarono di dotarsi anche di pugnali personali o sottratti al nemico.
L’altro armamento indissolubilmente legato agli Arditi fu il petardo offensivo Thevenot, di progettazione francese. Di forma cilindrica e del peso di 400 grammi, aveva una detonazione molto rumorosa che stordiva l’avversario. Le schegge avevano un raggio limitato a 5-10 metri e non erano letali (diversamente da quelle della bomba a mano difensiva S.I.P.E.). Ciò permetteva agli uomini di correre verso il punto dell’esplosione.
Per quanto riguarda le armi da fuoco, in accompagnamento a petardi e granate (fondamentali per la natura dei compiti dei Reparti d’assalto), gli Arditi preferivano armi leggere, automatiche e di dimensioni contenute. Il moschetto loro assegnato era il ‘91 “Truppe Speciali” oppure il “Cavalleria”, che aveva un peso di 2,7 kg (il moschetto ‘91 tradizionale, il cosiddetto “lungo, usato da quasi tutti gli altri corpi del Regio Esercito, pesava 3,9 kg).
Oltre a mitragliatrici e lanciafiamme, vennero dotati di pistole-mitragliatrici Villar-Perosa 9×19 mm Glisenti (chiamate anche
“pernacchia”, per il caratteristico rumore che producevano durante lo sparo) e le lancia torpedini Bettica, poi sostituite dai più moderni, ma pesanti, Stokes di fabbricazione inglese.
Altra loro dotazione fu la pistola semiautomatica Beretta modello ’15 calibro 9 mm.
Michele: Di quanti uomini erano formati i Reparti d’Assalto?
Antonio: Un Reparto d’assalto aveva la forza di mille uomini, tutti combattenti.
Originariamente era costituito da tre compagnie più una quarta che forniva i complementi per colmare gli eventuali vuoti, dati dalle perdite umane, in battaglia. Dopo Caporetto venne attuata una riforma organizzativa dei reparti, che vennero suddivisi in tre compagnie, ciascuna di 4 plotoni, aggiungendo una Sezione Bettica e una Lanciafiamme.
Ogni reparto aveva otto ufficiali, un comandante, un vice comandante di compagnia e sei subalterni.
Il plotone constava a sua volta di quattro squadre, una d’assalto, due di fiancheggiamento ed una di retroguardia o copertura.
Le due squadre fiancheggianti venivano armate con due pistole mitragliatrici Villar-Perosa ciascuna. Ogni squadra era formata da coppie.
Dall’obbligo di coppie non erano dispensati né graduati, né ufficiali. Esse erano formate per volontaria elezione tra uomini stretti da vincoli di parentela o di amicizia, o da comune cittadinanza, o da reciproca simpatia.
L’uso delle “coppie tattiche” risultò sempre di immensa utilità, abituando i soldati all’iniziativa, infondendo loro coraggio, suscitando l’emulazione, dando maggiore scioltezza di movimento e procurando quel reciproco aiuto così prezioso ed indispensabile in caso di lotta e/o di ferimento.
Gli Arditi, pervasi da uno spiccato spirito di corpo, fecero propria una forte e ampia simbologia, data da teschi con o senza tibie, a volte col pugnale tra i denti, quasi a sfatare la paura della morte, quasi ad irriderla.
Michele: Quali erano i motti e le canzoni degli Arditi?
Antonio: Insieme a questa vi erano i motti, come il “Me ne frego”, “A Noi” oppure “Messe” (grido di battaglia del IX Reparto d’assalto in onore del loro comandante Giovanni Messe) e le canzoni, con le quali usavano annunciare il proprio passaggio, affinché i fanti e i civili sapessero di non essere soli, e il nemico capisse con chi aveva appena avuto a che fare. Uno dei più famosi “stornelli” così recitava:
Se non ci conoscete guardateci dall’alto,
noi siam le Fiamme Nere dei battaglion d’assalto!
Bombe a man e colpi di pugnal!
Se non ci conoscete guardateci i vestiti,
noi siam le Fiamme Nere dei battaglion arditi!
Bombe a man e colpi di pugnal!
Se vuoi trovar l’Arcangelo da fante travestito,
ricercalo a Manzano e troverai l’ardito!
Bombe a man e colpi di pugnal!
Se Pecori Giraldi vuol fare un’avanzata,
ricorrerà agli Arditi della seconda armata!
Bombe a man e colpi di pugnal!
Se non ci conoscete guardateci dai passi
noi siamo gli arditissimi del colonnello Bassi!
Sulla base di numerose testimonianze, la maggior parte degli uomini che entrarono negli Arditi lo fecero per le migliori condizioni rispetto alla vita di trincea, ma non mancarono quelli motivati dall’amor patrio o spinti dallo spirito d’avventura. Alcuni amavano farsi chiamare “Cavalieri della Morte”, per la loro visione “romantica” dello sprezzo del pericolo, che li portava a travolgere tutto ciò che li ostacolava. “Scatto, travolgo, vinco”, andavano ripetendo. A tal proposito il capitano del XXIII Reparto d’assalto Fiamme Cremisi, Antonio Zane, così disse: “Gli austriaci pagavano una taglia di 500 corone a chi portava un collo di una giubba da Ardito e il distintivo che avevamo al braccio sinistro”.
Michele: Dove combatterono gli Arditi e quali onorificenze ottennero?
Antonio: In poco più di un anno di vita i reparti d’assalto del Regio Esercito guadagnarono un rispetto senza pari presso le truppe nemiche, grazie alla determinazione e allo sprezzo del pericolo che dimostrarono su tanti campi di battaglia del fronte italiano (ma anche su quello francese e macedone). Basti ricordare le loro imprese nei seguenti teatri di guerra: Carso, Bainsizza, San Gabriele, città di Udine, Monte Valbella, Col del Rosso e Col d’Echele, Monte Corno, Monte Grappa (Monte Pertica, Monte Asolone, Cà Tasson, Monfenera, Col del Cuc, Solaroli, Col Moschin, Col Fagheron, Col Fenilon, Col della Berretta), zona del Piave (Fagarè, Zenson, Fossalta, Fosso Palumbo, Monastier, Musile, Castaldia, Caposile, Grisolera, Cortellazzo), Giavera, Montello (proprio quelli del XXVII del maggiore Freguglia), Falzè, Moriago, Fontigo, Sernaglia, Vittorio Veneto. Fondamentale fu il loro apporto nella Battaglia finale di Vittorio Veneto, quando aprirono la strada alle fanterie.
Ovunque furono chiamati si colmarono di fama, gloria e ammirazione, ottenendo ben 3.487 medaglie al Valor Militare: 20 d’oro, 1.471 d’argento, 1.488 di bronzo e 508 croci di guerra.
Vennero decorate anche molte delle loro bandiere: oro al XXIII, argento al II, IX, XVIII, XXVII, XXVIII, LXXII, 3° Gruppo assalto (VIII e XXII), bronzo al VI, XI, X, XXVI, XXIX, 1° Gruppo assalto (X e XX) e 2° Gruppo assalto (XII e XIII).
Notevole, però, fu anche il loro tributo di sangue. Si stima che vi furono oltre 3.000 caduti su un totale di uomini che oscillò tra le 30mila e le 35mila unità complessive nell’intero periodo di guerra.
Particolarmente tragico fu il bilancio delle perdite in occasione della Battaglia del Solstizio, per il quale il Comando Supremo comunicò le seguenti percentuali: Arditi 20%, Fanteria 16%, Bombardieri 7%, Artiglieria 6%, Bersaglieri 6%, Mitraglieri 5%, Genio 2%.
Gli Arditi, sia dal nome stesso, che dagli innumerevoli racconti che giungevano dal fronte, generavano ammirazione, alla quale si aggiungeva un certo brivido di terrore, poiché molte delle storie di cui erano protagonisti, a furia di essere rimaneggiate, finivano con l’acquistare quella sorta di orrida bellezza che affascinava le genti, rifacendosi sempre a quella visione “romantica” sopra citata.
Una definizione che scindendo nettamente l’Ardito da tutti gli altri combattenti, lo isoli nella sua particolarissima natura e ne faccia un “soldato” in tutta la pienezza della frase, così recita:
“L’arditismo è la totale espressione del volontarismo in guerra”.
Michele: Come si diventava un Ardito?
Antonio: Vi fu qualche altra particolarità che differenziava gli Arditi da tutti gli altri corpi: non si diventava Ardito in base ad una selezione fisica (come era ad esempio per il Bersagliere, il Granatiere o l’Artigliere da montagna), la selezione era puramente morale e si compiva spontaneamente nell’atto stesso del “volontarismo”. Si entrava negli Arditi perché si era Arditi. Nei Reparti d’assalto a fianco all’Ercole, capace di rovesciare una montagna, si trovava, paradossalmente, l’adolescente mingherlino che sembrava doversene volar via ad ogni alito di vento.
Ma quanta forza d’animo, quanta volontà selvaggia negli occhi accesi di quella “febbre”! Chi voleva diventare Ardito, doveva dimostrare anzitutto di esserlo veramente e per conseguire questa terribile, ambitissima laurea, l’Ardito, in un primo tempo, doveva superare i rigidi esami di Sdricca di Manzano, o delle altre scuole.
Fu lì che vennero indirizzati tutti i volontari nauseati dalla trincea, rosi dall’impazienza di incontrare finalmente a tu per tu, a lunghezza di pugnale, l’austriaco rintanato a pochi metri. A Sdricca, Borgnano, ecc. la selezione avveniva da sé.
Michele: Come sono stati descritti gli Arditi dai loro comandanti?
Antonio:
“L’Ardito è come l’antico eroe della leggenda che, quando moriva, si involava con tutta la sua armatura e non era più possibile trovarne traccia sulla terra”.
Generale Ottavio Zoppi, Comandante la Prima Divisione d’assalto
“C’è proprio una graduatoria di coraggio, non esiste un unico tipo di coraggio. Gli Arditi sono sullo scalino più alto di questa gerarchia. Il coraggio degli Arditi non è quello di tutti gli altri”
“Sembrerà paradossale, ma è cosi. E’ un fenomeno di selezione. Un fenomeno essenzialmente
aristocratico”.
Capitano del XVIII Reparto d’assalto, Mario Carli
“Arditi d’Italia – venire a voi è come entrare nel fuoco – è come penetrare nella fornace ardente – è come respirare lo spirito della fiamma – senza scottarsi – senza consumarsi. In una delle vostre medaglie commemorative il combattente all’assalto è rappresentato avvolto dalla vampa – incombustibile come la salamandra della favola – con una bomba in ciascuna mano. Il vostro elemento è l’ardore – la vostra sostanza è l’ardire. Per ciò, se il Carso era un inferno, voi ne eravate i demoni. Se l’Alpe era l’empireo della battaglia – voi ne eravate gli angeli. Creature
fiammanti sempre e da per tutto. E ci fu qualche notte d’estate – ci fu qualche notte d’autunno che l’acqua del Piave, al vostro guado, rugghiò come quando immerso il ferro rovente si tempra….”
Comandante Gabriele d’Annunzio
“Meglio un giorno da Ardito che cent’anni da vigliacco”.
Capitano del XXX Reparto d’assalto, Ferruccio Vecchi
“Avvolti in tenui veli di poesia sono i vostri natali, o mie belle fiamme, fiamme dai colori della morte, ma che sprizzano sempre e dovunque faville di sorrisi, fervidezza di vita. Così nasceste or sono tre anni, puri, semplici come i veri Cavalieri delle Crociate”.
Colonnello Giuseppe Alberto Bassi (il loro fondatore)
“La guerra mondiale non ha creato nessun tipo che possa sostenere il paragone con l’Ardito italiano”.
Comandante Gabriele d’Annunzio.
“D’immensa invidia e d’indomato amor”…(i suoi Arditi erano oggetto n.d.r)
Generale Ottavio Zoppi, Comandante la Prima Divisione d’assalto.
Termino il mio pensiero con questa frase del Sommo, che particolarmente mi aggrada e perfettamente si addice:
“Che una favilla sol della lor gloria possa lasciare alla futura gente”.
Dante-Paradiso
ANTONIO MUCELLI
Nato a San Donà di Piave nel 1966. Ha conseguito gli studi agrotecnici nel 1987, attività svolta per qualche anno, prima di arruolarsi nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e rimanervi per undici anni. Lasciata la professione di pompiere, da fine anni ’90 è un libero professionista. Istruttore di Krav Maga ed appassionato di storia militare, soprattutto di quella relativa alla Prima Guerra Mondiale. Ne segue le tracce fin da bambino e da circa 20 anni se ne occupa quotidianamente. Ha all’attivo una decina di articoli pubblicati in riviste relative alla Grande Guerra. Ha collaborato alla stesura di numerosi libri relativi alla Grande Guerra. Socio fondatore del Consiglio Direttivo sia dell’Associazione Storico Culturale Il Piave 1915-1918 di San Donà di Piave che della FNAI sezione di Trieste e di Treviso. Collabora attivamente con le Istituzioni dello Stato, quali Sopraintendenza del Ministero per i B.A.P.P.S.A.D., Regioni, Province e Amministrazioni Comunali, Pubblica Istruzione. Inoltre ha contribuito alla catalogazione e al censimento dei cimeli custoditi all’interno di diversi Sacrari Militari con il Ministero della Difesa nella figura dell’Onor Caduti. Nel luglio 2017 ha curato il libro di Luigi Freguglia XXVII Battaglione d’assalto, pubblicato da Itinera Progetti. Nel giugno 2018 ha redatto due articoli sulla Grande Guerra per il giornale Cefalunews (Ciro Scianna e Caimani del Piave).
Da non perdere l’ultima pubblicazione del dicembre 2018 nella quale Antonio Mucelli ha collaborato alla stesura del libro: Arditi d’Oro: Le 20 Medaglie d’Oro al Valor Militare dei Reparti d’Assalto, 1917-18 .
Sono stati volutamente tralasciati i nuclei nuotatori o meglio i “Caimani del Piave” (sia Reparti d’Assalto Regio Esercito che Regia Marina) poichè verranno trattati a parte in un’altra futura intervista. Nella foto il loro Comandante alla Prima Divisione d’Assalto, cap. Remo Pontecorvo.
Dio mio che super lavoro hai cucito. Complimenti 🏴🏴🏴🇮🇹🇮🇹🇮🇹🇮🇹💣🔪🖤
Ritengo Antonio Mucelli tra i massimi esperti della storia degli Arditi e dell’arditismo militare. Mucelli ha il grande merito di aver ricercato con grande passione, divulgato, diffuso e promosso la storia dei soldati che furono Arditi. Oggi se gli italiani conoscono un po’ meglio gli Arditi, le loro vicende militari e gli uomini che ne fecero parte è grazie al lavoro paziente di ricerca e di ricostruzione storica di Antonio Mucelli. Complimenti e grazie!
Complimenti ad Antonio Mucelli, per la chiarezza e l’efficacia della sua presentazione data dall’esperienza e dalla passione, e un ringraziamento par aver citato mio padre, l’Ardito Salvatore Bruno
Meglio un giorno d’Ardito che cent’anni da vigliaccio..
Grazie Antonio Mucelli, per aver portato in luce questo glorioso corpo militare del quale oggi poco si sa, o se ne sa il contrario della sua realtà.
Come figlio di un tenente degli Arditi che ha combattuto sia sul Piave che a Fiume, ti sono riconoscente di questo tributo all’Ardito.
Sono in pieno accordo con Vincenzo Iavarone che cito:”Ritengo Antonio Mucelli tra i massimi esperti della storia degli Arditi…”
In effetti è così, m accanto a diversi esperti, eccellenti forse quanto lui, Antonio Mucelli, oltre che al conoscere i fatti, saperli divulgare, difendere anche, ha un qualcosa, che a mio modesto giudizio, lo eleva su tutti: Antonio Mucelli lo fa con il cuore! Grazie da un figlio d’Ardito.
Indiscutibile la preparazione di Antonio Mucelli la sua eterogenea conoscenza della storia degli arditi, lo nobilita, e rende percepibile la storia militare vissuta dai nostri soldati durante la grande guerra. Veri complimenti e un Grazie dal nipote dell’ardito Giuseppe Di Gaeta.
Buongiorno. Inanzitutto la ringrazio molto del suo commento. Le chiedo cortesemente il suo nome e se è iscritto a qualche gruppo sulla grande guerra su facebook. Sarebbe bello se potesse descrivere qualcosa su sul nonno.