IL TENENTE DI VASCELLO – ARDITO DELLA REGIA MARINA – ANDREA BAFILE M.O.V.M.- da Antonio Mucelli – Segretario Associazione Storico Culturale “Il Piave 1915/1918”.
Andrea Bafile nacque il 7 ottobre 1878 a Monticchio, frazione de L’Aquila dal medico Vincenzo Bafile e Maddalena Tedeschini D’Annibale; fu il primo di dodici figli.
Studiò presso la Regia Accademia Navale di Livorno e ne uscì col grado di “guardiamarina” il 21 dicembre 1899 e si imbarcò sulla corazzata Lepanto.
Ufficiale della Regia Marina, nel 1902 venne promosso Sottotenente Di Vascello e poi, nel 1907, Tenente di Vascello. Si imbarcò dapprima sul torpediniere Elba e quindi sulla nave da battaglia UN Vittorio Emanuele.
Nel 1911 prestò servizio presso l’Arsenale di Venezia ed in settembre dello stesso anno si imbarcò sull’esploratore Quarto, in allestimento a Napoli. Il 23 aprile 1913, proprio sul Quarto si sviluppò un pericolosissimo incendio che rischiò di propagarsi fino alla santabarbara. Bafile impartì gli ordini necessari ai marinai, ma resosi conto della difficoltà a raggiungere i maneggi degli allagamenti, si fece calare nella stiva e , con grave rischio per la propria vita, con fermezza d’animo e sprezzo del pericolo, riuscì ad aprire i tubi di allagamento, impedendo alla nave di saltare in aria.
Il giorno 27 luglio 1913 in virtù dell’accaduto, venne decorato di Medaglia d’Argento al Valore Militare da Vittorio Emanuele (fatto non comune in tempo di pace).
Rinunciò alla promozione a Capitano di Corvetta e ad un incarico presso lo Stato Maggiore per poter continuare ad imbarcarsi su navigli leggeri, quindi dalla nave Quarto si imbarcò su siluranti da superficie, prima con l’incarico di ufficiale in seconda sull’Audace e poi come comandante sulla torpediniera Ardea, a bordo della quale operò durante la Grande Guerra, fino al giugno 1917.
Nella notte tra il quattro ed il cinque ottobre dello stesso anno partecipò, in veste di osservatore volontario, al bombardamento aereo sulle Bocche di Cattaro, in Dalmazia, dov’era situata una fornitissima base navale austriaca; spedizione guidata da Gabriele d’Annunzio (che lo chiamava “mio fratello d’Abruzzo”) e dal Maggiore Armando Armani. Nel corso dell’operazione alcuni obiettivi nemici presenti nella baia furono sorpresi e distrutti.
In precedenza sui quattordici trimotori “Caproni” attrezzati per il volo da terra (Squadriglia 1° bis e 15° bis), Bafile fece installare attrezzature per il volo marittimo: fanali “Donati”, pistole da segnalazione “Very”, razzi illuminanti, salvagenti “Karpoc” a collare ; in particolare bussole “a liquido” di tipo navale, molto simili a quelle regolamentari usate dalle torpediniere, che consentivano il volo cieco a piloti di terra abituati al volo a vista.
Tuttavia, sebbene modesta nei risultati materiali, l’impresa di Cattaro restò una delle imprese più famose della guerra aerea, avendo dimostrato le nuove potenzialità offensive a grande distanza dalla nostra Regia Aeronautica Militare.
Il contributo tecnico di Bafile fu preziosissimo tanto che gli venne concessa la Medaglia di Bronzo al Valore Militare che consacrò l’impresa delle Bocche di Cattaro.
Purtroppo da questa spedizione Andrea Bafile non trasse solo onori, ma anche una grave lesione alla cornea dell’occhio sinistro, tanto che alla fine di ottobre fu mandato in licenza per cure. Aveva già 39 anni!
Alla fine del 1917, passato alle dipendenze del Comando Marittimo di Venezia, nonostante la menomazione alla cornea ottenne il comando del prestigioso Battaglione fucilieri“Monfalcone” del Reggimento di Marina “San Marco” con i cui uomini contribuì alla difesa di Venezia nel tratto di trincee e di paludi del Basso Piave a lui affidato.
Il Reggimento San Marco era articolato su quattro battaglioni di tre compagnie di 250 uomini ciascuna che avevano preso il nome delle località che dovevano difendere: Monfalcone, Grado, Caorle, Golametto.
Il due marzo 1917 Andrea Bafile, sostituendo il comandante Pietro Starita gravemente ammalato, assunse, quasi quarantenne, la direzione del famoso Battaglione d’Assalto Caorle (marinai arditi), partecipando alla preparazione di un’offensiva mirante ad un rettifica del fronte italiano oltre il Piave, con il chiaro scopo di sventare la minaccia di un’invasione di Venezia da parte austriaca. Comando che mantenne fino ai fatti d’arme che ne causarono la morte, avvenuta a Cortellazzo (VE), sul Piave, la notte tra l’undici e il dodici marzo 1918, quando con altri quattro marinai arditi riuscì ad oltrepassare il Fiume Sacro Piave per delle importanti ricognizioni sul suolo nemico, ma nel riattraversarlo per cercare un compagno non rientrato, fu scoperto e ferito gravemente e spirò al rientro dalle linee nemiche. Avvolta la bara in una grande bandiera tricolore, con un motoscafo prima e di qui in un affusto di cannone fu trasportata la salma al cimitero dei marinai a Cà Gamba, vicinissimo Cava Zuccherina (l’attuale Jesolo – VE). Fecero corona moltissimi ufficiali con il Comandante di Stato Maggiore Thaon di Revel ed il generale Ceccherini. Celebrò la Messa funebre il tenente colonnello Giordano, sacerdote del reggimento.
La tragica fine di Andrea Bafile suscitò grande emozione nell’opinione pubblica e segnò profondamente l’animo degli uomini al fronte. All’indomani della morte, il capitano di Vascello Alfredo Dentice di Frasso avanzò la proposta di conferire una Medaglia d’Oro alla Memoria che venne subito accolta. Il nove aprile 1918 il Battaglione “Monfalcone” venne rinominato “Andrea Bafile”, prima Medaglia d’Oro del Reggimento.
Così recita la motivazione della Medaglia D’Oro: < Comandante di un battaglione di marinai, mentre preparavasi una operazione sull’estrema bassura del Piave, volle personalmente osare un’arrischiata ricognizione tra i canneti e i pantani della sponda sinistra perchè, dallo strappato segreto delle difese nemiche, traesse maggiore sicurezza la sua gente. Tutto vide e frugò, e sventato l’allarme, già trovava riparo, quando notò la mancanza di uno dei suoi arditi. Rifece allora da solo la via perigliosa per ricercarlo e, scoperto poi dal nemico mentre ripassava il fiume,e fatto segno a vivo fuoco, veniva mortalmente ferito. Guadagnata la sponda destra in gravissime condizioni, conscio della fine imminente, con mirabile forza d’animo e completa lucidità di mente, riferiva anzitutto quanto aveva osservato nella sua ricognizione, e dirigendo ai suoi infiammate parole, atteggiato il volto a lieve sorriso che gli era abituale , si diceva lieto che il suo sacrificio non sarebbe stato vano. E passò sereno qual visse, fulgido esempio delle più elette virtù militari, coronando con gloriosa morte una vita intessuta di luminoso coraggio, di fredda, consapevole e fruttuosa audacia, del più puro eroismo.>
-Basso Piave , 12 marzo 1918.
Dal venti settembre del 1923 le sue spoglie mortali riposano in un sacrario scavato fra le rocce della Majella a Bocca di Valle, presso Guardiagrele (Chieti), realizzato a partire dal 1920 per commemorare i caduti abruzzesi della prima Guerra Mondiale, il cui progetto fu eseguito da Raffaele Paolucci, l’eroe di Pola. La lapide posta in ricordo dell’evento così recita:
“Figli D’Abruzzo morti combattendo per l’Italia e sepolti lontano tra le Alpi e il mare, la Majella madre vi guarda e benedice in eterno.”
Note:
Il cimitero militare di Cà Gamba è visibile al seguente link:
https://www.lepietrediattila.it/2020/01/30/il-cimitero-militare-di-ca-gamba-e-il-monumento-ai-caduti-di-cavazuccherina-a-cura-di-michele-venturato/
La ricostruzione dell’evento che valse la Medaglia d’Oro al Valor Militare di Andea Bafile
La ricostruzione dell’evento che valse la Medaglia d’Oro al Valor Militare di Andea Bafile e’ quella del 30 aprile 1938, in piena retorica fascista, dell’ex portaordini pugliese Giovanni Anaclerio, che aveva preso parte della terribile spedizione. Riportiamo qui di seguito le sue parole:
” Il mattino del 10 marzo 1918, verso le ore 6, il Comandante mi dette ordine di preparare il pieno assetto per andare a Cortellazzo. Egli era ilare al punto di sfidarmi a saltare l’argine della Cavetta, cosa che riuscì agevole ad entrambi. Quando tutto fu pronto, compreso l’astuccio delle carte della nostra zona, avendo fatto io notare che per la lunghezza del tragitto sarebbe stato comodo servirsi di uno dei muli disponibili, ebbe ad esclamarmi: Noi siamo ed abbiamo garretti di ferro per cui benissimo possiamo andare a piedi; un mulo può portare quattro proietti d’artiglieria o munizioni . Partimmo così dai bagnetti di Cava Zuccherina dopo aver salutato tutti gli Ufficiali e lungo il cammino il Comandante vivace ed allegro, parlava dell’offensiva che si sarebbe scatenata l’indomani. Volle visitare la Batteria Paoletti con il cui Comandante si intrattenne alquanto, poscia riprendemmo il cammino. Osservava con attenzione la zona circostante rispondendo a qualche mia domanda; fu così che appresi come avesse guadagnato una Medaglia d’argento il 1913 per la sua opera svolta a bordo dell’incrociatore “Quarto” durante un incendio e l’altra nella meravigliosa impresa del volo da Gioia de Colle a Cattaro in qualità di primo pilota della squadriglia D’Annunzio. Alla batteria Bordigione si fermò a conferire con quel Comandante sugli attacchi del 16 Novembre 1917 quando 13 unità nemiche tentarono di forzare le foci del Piave per occupare Cortellazzo, cozzando vanamente contro quell’eroica batteria ed infine fugate dall’intervento improvviso dei MAS di Ciano. Premeva però il suo progetto di attraversare il Piave per violare le linee nemiche. Il Comandante Bordigioni trovò alcune obbiezioni al progetto, si salutarono cordialmente e raggiungemmo le prime posizioni nelle quali il Comandante volle salutare tutti gli Ufficiali ed in special modo il genero di D’Annunzio, Tenente di Vascello Mondinarelle. Al comando del Battaglione di protezione incontrò il Comandante Del Greco e poscia al comando del Battaglione “Monfalcone” il Comandante Colombo. Era mezzogiorno e dietro ordine mi recai dal Capitano Federico Gallucci perché ci prevedesse da mangiare. Dopo qualche boccone in fretta, raggiungemmo la Casa Sostegna , posto pericolosissimo ma dominante con i suoi ruderi su ampia distesa del fiume.
A lungo Egli osservò col suo cannocchiale Rovedoli verso le batterie nemiche a Ca’ d’Ossi e della Finanza. Fummo raggiunti dal Comandante Dentice di Frasso e subito dopo dall’Ammiraglio Thaon di Revel con il suo aiutante Pellegrini, dal Generale Sante Ceccherini col suo Stato Maggiore, da vari Ufficiali del I Granatieri con il Comandante dell’81° Fanteria. Dietro invito del Comandante di Stato Maggiore della Marina furono stese a terra le carte e su esse furono dati chiarimenti circa l’offensiva dell’11. Il Comandante ebbe a dire: Ammiraglio, io sarò di là dal fiume ancor prima che cinquemila uomini traversino il Piave al fine di osservare le posizioni del nemico. Molti dei presenti obbiettarono che quella rappresentava un’impresa dalla quale non si ritorna, Egli rispose che per la Patria la morte è nulla. L’Ammiraglio Thaon di Revel, il Generale Ceccherini ed il Comandante Del Greco sconsigliarono ancora la ricognizione ma Egli, presentandomi, s’impose con queste parole: Andrò con il mio porta ordini e con altri tre soli uomini . Vi fu un coro di auguri e di ” in bocca al lupo “; ricordo benissimo che il Comandante Pellegrini volle fotografarci insieme. Un Ufficiale ceco rivelò la parola d’ordine austriaca. La nostra parola d’ordine fu fissata ” Gaeta-Gabriele”. […] Non fu proprio facile ottenere i tre uomini perché il Battaglione era disposto per l’offensiva; essi furono il Baldo, il Bertagna e l’Esposito. Riuniti, avemmo per Sua bocca le istruzioni circa la ricognizione arditissima, intesa a conoscere con esattezza le forze e la dislocazione del nemico specialmente nelle sue batterie, le quali formavano l’obbiettivo principale, carezzando Egli l’idea di un estremo tentativo contro alcune di esse. Ci armammo quindi di tubi di gelatina, di bombe a mano, pugnale e moschetto. Dopo aver impartito tutti gli ordini e sorvegliatane l’esecuzione, il Comandante mi prese sotto il braccio costringendomi alla sua destra e mi condusse in disparte sotto un albero dove mi strappò il giuramento che se fossimo caduti in un’imboscata senza uscita, con un colpo di pugnale al cuore per entrambi, avrebbe dovuto evitarci di cadere vivi nelle mani del nemico. Di ritorno al Comando con vari Ufficiali, fra cui il Capitano Cecconi della II Compagnia sulla linea di protezione, furono presi accordi circa l’orario di uscita per la Cavetta nel Piave; il valoroso Cecconi manifestò il suo vivo desiderio di essere dei nostri. Il Comandante Del Greco sino all’ultimo momento sconsigliò la missione ritenendola un sacrificio inutile; era tale la sua avversione convinta che il Comandante quasi ne ebbe risentimento. Finalmente giunse l’ora di salpare, ci domandò ancora una volta il nostro assentimento e noi gridammo “presenti”, elevando un “Evviva il Re!”. Con molti saluti ed auguri ci imbarcammo alle 21, vogatore il Bertagna; superata la chiusa della Cavetta entrammo nel Piave che traversammo felicemente deviando un po’ sulla destra.
Scendemmo fra i canneti; appena a terra il Comandante s’inginocchiò religiosamente a baciare le zolle e presane un pugno rivolse a noi le parole del suo sentimento: Arditi, questo è sacro suolo d’Italia, noi tutti concorreremo a riconquistarlo. Carponi, tagliando cavalli di Frisia e bassi reticolati fra il fieno, scoprendo molte bocche da lupo, raggiungemmo Revedoli. Un pezzo di carta attaccata al muro attirò la nostra attenzione; era un bollettino militare nemico, che il Comandante piegò per conservarlo. Ritornammo sulla sponda nei cui pressi stemmo appostati, l’Esposito, che non dovevamo più vedere, ed io, in due bocche del terreno. Il Comandante con Baldo e Bertagna si allontanò per ritornare dopo circa mezz’ora; insieme allora prendemmo la direzione dell’osservatorio situata fra le batterie di Ca’ de’Ossi e di Ca’Finanzia per poi piegare su una di esse e tentare il gran colpo. Eravamo a buon punto quando alle nostre spalle, vicinissime, risuonarono delle voci; la nostra emozione fu violenta, il Comandante col suo mirabile sangue freddo ci spinse verso un mucchio di fieno sotto il quale ci nascondemmo. Era una pattuglia nemica che passò senza vederci, ma non si allontanò di molto perché giungeva sino a noi un parlare fioco. Ormai la nostra strada era tagliata, avevamo sì individuata bene la posizione di entrambe le batterie, ma la nostra missione necessariamente doveva finire lì. – Non state ad allarmarvi – Egli ci sussurrò – per la Patria siamo qui di fronte alla morte -. Se non eravamo stati visti dalla pattuglia il nemico però già conosceva la nostra presenza nei paraggi, difatti subito si levò un razzo luminoso, segnale d’allarme. Forse aveva scoperto l’Esposito, forse aveva avuto altri segni. Fummo costretti al ritiro che effettuammo allungando la strada per portarci a seguire la rive sotto la protezione dei canneti. Fu un cammino lungo e difficile essendo costretti a procedere carponi e sempre alle prese con i reticolati mentre molti razzi luminosi salivano al cielo e raffiche di mitragliatrici radevano il fiume. Anche l’artiglieria si dette a battere il corso del Piave. Sul posto dov’eravamo sbarcati ci ritrovammo in una morsa, eppure il Comandante volle eseguire personali ricerche di Esposito, ricerche vane. Ritrovammo la nostra zemola che l’aurora cominciava a colorire il cielo appena lasciata la riva; essendo ormai allo scoperto, fummo presi di mira da un fuoco indemoniato di tutte le armi: dal fucile, dal cannone e dalle mitragliatrici i colpi ci piovevano intorno. La zemola non superò bene la corrente e fu trascinata al sud, nonostante Bertagna facesse immensi sforzi per raggiungere subito la riva nostra. Di lì a poco egli fu ferito ed il suo posto lo presi io.
Poco ancora e avremmo accostato a riva, quando la mortale pallottola colpì all’inguine l’amatissimo. Approdati che fummo Egli ordinò che fosse prima provveduto a sbarcare con cura Bertagna, dopo essersi assicurato di noi. Fu così che me lo caricai sulle spalle e lo portai al Pronto Soccorso. Il dott. Candiani appena ebbe guardato la ferita mise in opera ogni suo mezzo contro di essa, mentre Egli insisteva per Bertagna. Subito giunse il Comandante Dentice di Frasso che voleva interrogarlo, ma per il suo stato il medico vi si oppose. Egli però parlò di quello che ora sapeva e rammentò il pugno di terra consacrata da tanto sangue.
Con un motoscafo, per la Cavetta , lo recammo all’ospedale di Ca’Silicia. Quivi, rivolgendosi a me, Egli disse: Anaclerio fa freddo, mi sento bagnato. Lo coprii con un mantello da bersagliere; chiese se c’era il medico, ma seppe essere presente solo l’infermiera. Allora mi rivolse ancora la parola: Anaclerio vedi! Questa medaglina è ricordo di mamma mia, ti raccomando di baciarla e darle le medaglina. Passa pure da Gabriele d’Annunzio e recagli l’ultimo saluto ed un bacio del suo vecchio amico. Quindi mi allacciò il collo con un bacio, ringraziandomi di non so quale dovere avessi superato per lui ed in quella posizione subito dopo rese a Dio ed alla Patria la sua bella anima di eroe.”
L’ operatività terrestre della Regia Marina
L’ operatività terrestre della Regia Marina iniziò quando vennero occupate dal nemico Grado e Monfalcone, zone che vennero affidate al presidio costiero della Marina.
Data la necessità di artiglieria pesante nei territori presso le foci dell’Isonzo vennero inviati cannoni navali, serviti da personale navale; alcuni di questi vennero impiantati su pontoni e serviti da equipaggi di navi affondate, come l’incrociatore pesante Amalfi, silurato nel Luglio del 1915: con i suoi superstiti vennero formate due compagnie operanti nelle batterie galleggianti presso Grado, ed una terza, denominata Gruppo Amalfi, armata con cannoni da sbarco da 76/17, che operò inquadrata nel XI° Corpo d’Armata tra Peteano e Sdraussina.
Sopraggiunta la ritirata seguita allo sfondamento di Caporetto i marinai riuscirono a portare in salvo tutti i materiali, trasportandoli fortunosamente con zattere e pontoni attraverso i canali interni, ed attestandosi a Caposile (VE), divenuto l’ultimo ostacolo per le truppe austro- ungariche prima di Venezia, la cui difesa dipendeva dalla tenuta delle foci del Piave: il generale Diaz e l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel decisero di affidare il settore ai marinai utilizzandoli come fanteria di marina.
Non era una novità per le forze armate, giacché, prescindendo dai “fanti da mar” veneziani, già nel 1714 l’esercito sabaudo aveva costituito un reggimento di fanti di marina, il Real Navi, nel 1908 i marinai della R.N. Elba avevano combattuto come fanteria in Cina contro i Boxer, e nel 1911 marinai in tenuta da sbarco avevano conquistato Tripoli.
Con mille difficoltà per il reperimento dell’organico venne dunque costituito il reggimento Marina, comandato dal capitano di vascello Alfredo Dentice di Frasso.
Tale reggimento era costituito da quattro battaglioni su tre compagnie di 250 uomini ciascuna, denominati Monfalcone, Grado, Caorle e Golametto dalle località dove avevano operato i pontoni armati inquadrati nella 3a Armata.
Venne anche costituito un Raggruppamento di Artiglieria di Marina, comandato dal capitano di fregata Antonio Foschini, con otto gruppi di artiglieria.
A causa della carenza di ufficiali di marina preparati alla guerra terrestre, se i comandi di reggimento e dei battaglioni vennero affidati ad ufficiali della Regia Marina, quello delle compagnie e dei plotoni venne dato ad ufficiali dei Granatieri di Sardegna, dato che tale specialità era considerata la migliore come addestramento e come morale di tutto il Regio Esercito.
Nei mesi seguenti gli ufficiali aumentarono di numero, ed il reggimento raggiunse una forza di 140 ufficiali e 3000 uomini; vennero effettuati numerosi colpi di mano, e costituita una compagnia di Arditi reggimentali.
Il 19 marzo 1918, con una cerimonia in piazza San Marco a Venezia venne consegnato lo stendardo di guerra, dono dei veneziani, al reggimento.
In quell’occasione il sindaco della città, il Senatore Grimani, auspicò che il reggimento fosse battezzato San Marco, come poi avvenne, nome che il reggimento porta ancora oggi.
Nel corso di un anno di operazioni (dal ’17 al ’18) il reggimento perse un terzo della propria forza: 1.156 uomini, di cui 384 caduti, 19 mutilati, 753 feriti. Nessun marò cadde prigioniero.
Ringraziamenti: Antonio Mucelli e ROCOlor di Roberto Costanzo https://www.facebook.com/ROCOlor-207023553034368/
Sempre grandissimo. Ci hai messo tanto del tuo. Complimenti. 🇮🇹🇮🇹🇮🇹👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻
Oggi ero a Jesolo ed ho fatto visita al cimitero di ca’ Gamba dove fu deposta la salma del Comanante Bafile. Unico segno del luogo ove fu la sua tomba e’ un cippo quasi anoniml. Peccato. Comunque grande l’emozione. Grande rispetto per un grande uomo che non esito’ a mettere in pericolo per prima la sua vita, mentre molti altri mandavano al macello mti giovani per ottenere qualche immeritata medaglia.