E’ un freddo pomeriggio di gennaio e mi trovo a Cà Malipiero assieme ad un amico per scattare alcune foto e registrare delle riprese con un drone. Ci accoglie l’ultimo abitante di questo antico luogo, il signor Valter Ormenese che si appresta ad aprirci la porta della chiesa dell’oratorio invitandoci ad entrare, per poi ritornare a smontare l’albero di Natale nell’atrio della sua abitazione. Accanto a lui quella semivuota di suo padre Romeo, ormai scomparso da diversi anni. E’ un luogo triste e silenzioso, purtroppo non più accogliente come un tempo. Cerchiamo qua e la qualche lapide o lo stemma del casato, ma non è rimasto più nulla. “C’è solo la tomba della Contessa Lucia Ivanovich in sacrestia – dice Valter, sopraggiunto poco dopo – In seguito all’alluvione del 1966, Don Ferruccio Dussin, il parroco della vicina Croce, ha ripristinato la chiesa al meglio e con quello che poteva. Il pavimento alla veneziana è stato sormontato da delle piastrelle bianche, l’altare in marmo, invece, sostituito con uno più economico e di minor pregio e il soffitto, dal quale si nota una breccia di color azzurro, un tempo dipinto da un affresco, è stato ricoperto da una pittura bianca. Per fortuna sono rimasti la statua originale della Madonna del rosario e i due mezzi busti dei Santi Francesco e Vincenzo”. Valter si appresta a cercare una scopa per togliere le ragnatele e si capisce che la chiesetta è chiusa da anni. Gli ultimi ad entrarci sono stati i fedeli che ogni anno celebrano il rosario nel periodo mariano, ma la pandemia del covid ha dato il colpo finale. Nell’atrio dell’oratorio, un tempo, un grande cortile curato, dove immagino ancor oggi i bambini che corrono, è una piana verdastra con l’erba alta fino alle ginocchia. Valter, l’ultimo battezzato nel 1952, ci fa cenno con la testa che non riesce più a tener pulita l’area adiacente alla struttura. Un tempo veniva aiutato dalle persone che vi abitavano e quando possedeva anche il trattore riuscivano a mantenere tutto in ordine, ma da soli si fa poco.
“La mia famiglia produceva dell’ottimo vino e nella barchessa avevamo una bella cantina – ci racconta – Oggi mi rimangono le botti vuote e non posso più accedere ai locali. Con tutto quello che c’è li dentro posso fare un museo che i cittadini di Musile mi possono solo invidiare”. La struttura è circondata da una rete rossa e vige il cartello con il pericolo di crollo. Il tetto del fienile verso Via Bellesine è ceduto e si intravvedono assieme alle travi del tetto alcuni strumenti antichi da lavoro dei contadini, mentre nel porticato sono parcheggiati dei carri di legno vecchi e abbandonati. “La proprietaria della struttura, la signora Sigismondo da Treviso, aveva in progetto di aprire un bed and breakfast, ma sono passati tanti anni e purtroppo le cose vanno così – continua Valter – Questo luogo non interessa più a nessuno. In seguito alle vicende della Prima Guerra Mondiale che hanno visto l’oratorio diventare la prima linea durante la Battaglia del Solstizio, i miei avi avevano piantato un vigneto che produceva vino Raboso e dopo cento anni continuava a dare i suoi frutti. I proprietari del luogo lo hanno tolto per lasciar posto a questa desolata distesa di campi arati, ma ricordo con gioia il raccolto dell’ultima annata. Avevamo fatto un’ottima ed elevata gradazione. Peccato che tutto sia andato perso”. Il mio amico comincia a filmare dall’alto e lo invito a fotografare la parte principale della struttura, dove un tempo vi abitavano anche le famiglie Tozzato, Cattai e Giusto. S’intravvede una frattura del muro sovrastato dal tetto che ne preanuncia il suo cedimento. Dopotutto l’incuria del tempo lascia posto solo a questo. Chiedo rammaricato a Valter se ci sono dei dipinti all’interno dello stabile. Valter dice di no, però nel caseggiato verso Via Bellesine sono rimasti gli splendidi pavimenti alla veneziana. Si ricorda poi della bellissima vera da pozzo che si trovava nel cortile di fronte allo stabile, ma che è stata regalata un tempo al medico di condotta dottor Rorato per abbellire il suo giardino nella Villa a Croce. “Purtroppo – ci dice – non sono riuscito a convincere nessuno di riportarla a casa. Rimangono però alcune testimonianze archeologiche di epoca romana della vicina Via Annia, come il basamento della colonna scolpita a mano, sotto il portico della barchessa e qualche antico embrice nel vicino capitello. Nei campi qua dietro sono emersi tantissimi reperti, colonne, anfore e tasselli di mosaico bianchi e neri, ma sono andati tutti persi e chissà dove”.
Ci portiamo quindi all’auto per lasciare l’oratorio di Cà Malipiero e Valter ci invita calorosamente a ritornare. “Sono onorato della vostra presenza – ci dice – Chi conosce la storia di questo luogo e lo vuole ricordare alle generazioni future è sempre il benvenuto”.
Qualche cenno storico sull’Oratorio di Cà Malipiero e il canale Fossetta
Alba Bozzo:
Abbandonate le grandi avventure marittime e commerciali, Venezia si rivolse al suo retroterra con una politica ricostruttiva e difensiva… per mettersi in comunicazione colla terra ferma non poteva contare che sulle vie d’acqua. A tale fine disponeva soltanto del canale Caligo che era tropo a sud rispetto ai suoi domini. Poichè tutta la sua attività si era svolta sull’acqua, le s’imponeva la necessità di creare un nuovo canale che accorciasse le distanze per agganciarsi alla terra ferma, un canale che arrivasse in un luogo ben servito di strade per poter raggiungere, nel più breve tempo, il Friuli, e nello stesso tempo contemplasse una rete per la distribuzione della posta e, dicono le cronache, “per portar legna a questa nostra città”, legnami da navi e carne da macello, elementi di cui aveva sempre bisogno. L’idraulico più famoso dell’epoca, Marco Cornaro, eseguì, congiungendo canali preesistenti, lo scavo della Fossetta, funzionante dal 1483: un canale dritto e diretto che, partendo dalle Porte Grandi (opera di Leonardo) arrivò a Caodarzere. In quei tempi essa doveva essere più larga e più profonda di quanto non lo sia ora. Da essa fu prolungato un canale minore, che arrivò nella attuale piazza Matteotti, ove si allargò in un porticciolo che divenne ben presto un piccolo centro commerciale (l’attuale Fossalta di Piave)… Con l’attività della nuova via d’acqua le terre aumentarono di valore, vennero ambite dai nobili e ricchi veneziani, che tendevano a far fruttare il capitale investendolo in proprietà terriere, visto che non serviva più ai grandi commerci sui mari. Essi si sparsero nella zona che si estende tra Sile e il Tagliamento e oltre, acquistarono terre, fabbricarono ville fastose e vennero a villeggiare in primavera ed in autunno… Nel 1500 il nostro territorio e quello circonvicino erano ricoperti da una fitta vegetazione. Erano famosi i boschi di Ason (Losson), di Malipiero, di Marteggia, di Medade (Meolo) nei quali abbondavano noci, roveri, olmi, querce, pioppi, temerici e salici. Nel 1500 – Ai nobili veneziani Malipiero il Papa Alessandro VI diede licenza di fabbricare la chiesetta a Cà Malipiero. Il luogo era il più popoloso insediamento della strada. (Alba Bozzo, Fossalta dal 130 a.c. alla battaglia del Piave, S.I.T Dosson Treviso Aprile 1977).
Giusepe Pavanello:
Cà Malipiero è stata edificata dalla nobile famiglia veneziana dei Malipiero lungo il canale Fossetta, scavato nel 1483 per permettere alla Serenissima Repubblica di Venezia di rifornire la città di legname e generi alimentari. L’oratorio dedicato alla Madonna del rosario risale al sec. XVIII. L’intera struttura appartenente a ser Zaccaria Malipiero venne succeduta al figlio Girolamo e dopo la sua morte al nipote Zaccaria. Passò quindi a Chiara Malipiero moglie di Piero Cappello e quindi al Conte Luca Jvanovich marito della Contessa Lucia. La contessa Lucia, sepolta nella chiesetta dell’oratorio, era nata nel 1771 a Dobrota del Cattaro ed era figlia di Pietro Camenarouich. Morì l’11 dicembre del 1818. (Giuseppe Pavanello, La strada e il Traghetto della Fossetta, Strade traghetti e poste della Repubblica Veneta, Ateneo Veneto).
Marino Perissinotto:
Adesso quasi non la si vede, passando sulla Triestina; è la via Bellesine di Musile, dalla Fossetta e da Ca’ Malipiero fino al canale Millepertiche. Una stradina di campagna senza niente di speciale, salva l’infilata di pali che la fiancheggia, e mi pare un po’ dare un ritmo da colonnato d’un qualche foro provinciale romano.
Un secolo fa, era diverso.
Questa era la linea di difesa italiana, quella che resse l’urto. Quattro capisaldi, a Ca’ Malipiero, Bellesine, sulla Fossa Millepertiche e ai Lanzoni.
Una striscia di terra appena più alta dei campi. Filo spinato. Vegetazione incolta. Acqua.
Acqua maledetta.
Con le idrovore ferme, copriva i campi. Uno specchio torbido diviso in quadri dagli arginelli delle scoline.
Altra acqua, quella che cadeva a rovesci dal cielo.
Fu così, la battaglia.
A destra, gli italiani: i superstiti del 145° della Catania, quelli buttati via dall’argine del Piave, e i fanti dell’81° della brigata Torino. Tra Millepertiche e il Taglio del Sile, i due reggimenti della Arezzo.
Da sinistra arrivavano gli imperiali. Su Ca’ Malipiero spingeva il 56° reggimento di fanteria, e verso Millepertiche il 21°.
Era di domenica, il 16 giugno 1918.
Si batterono nel fango dei campi a sinistra della stradina, che per gli uni era il baluardo, per gli altri l’ostacolo; e continuarono a battersi fino al 23. Sette giorni, con tante bombe che cadevano, poco o nessun cibo per gli austriaci, e tanta sete, che tutta quell’acqua era imbevibile. Colonne che si scontravano, si tendevano agguati, cercavano i fianchi del nemico.
Poi, gli imperiali ripiegarono, inseguiti sino ai due Piavi.
La linea della stradina non fu infranta.
L’81° reggimento era comandato dal fiorentino colonnello Cornelio Revelli, che a Musile si guadagnò una medaglia d’argento con questa motivazione:
Mentre ispezionava un tratto di fronte, essendosi improvvisamente manifestato un impetuoso attacco di notevoli forze nemiche, sprezzante di ogni pericolo, e resosi conto della gravità del momento, con calma ed energia mirabili muoveva con le sue truppe al contrattacco, e, primo fra tutti i suoi dipendenti, si slanciava all’assalto, infliggendo perdite all’avversario e mettendolo in disordinata fuga.
Ca’ Bellesine (Piave), 16 giugno 1918.
Uno delle migliaia.
Mons. Dott. Costante Chimenton:
Ci sono in giro due padri in cerca dei figli. Uno, il deputato Gambarotta, l’ha sorpreso reduce dall’assalto, mentre dormiva placidamente in trincea: il giovinetto fu svegliato dal bacio paterno; l’altro, Ausonio Talamini (Gianpietro) , cadorino, direttore del “Gazzettino”, lo troverà ma non lo sveglierà mai più, perchè è caduto eroicamente il 15 giugno a casa Malipiero. Ne cerca ora la salma, ancora dispersa. Passa trasognato fra i soldati, chiuso nel suo dolore; il volto sembra la maschera di uno stoico… Nel cimitero di Croce di Musile.. molte tombe non portano un nome; sono soldati ignoti i cui resti sono baciati dal sole e confortati dalle preghiere del popolo: su quelle tombe piegano in ginocchio le spose e le mamme che attendono invano il ritorno del loro caro, rimasto ignoto agli occhi degli uomini. Nel mezzo, sopra un monumento di roccia, sormontato da un tripode in bronzo, la targa votata dal Comitato per le onoranze dei caduti in difesa di Venezia, nel 1922. Riportiamo alcune delle epigrafi che ancora si conservano in quel cimitero: … “Giovanni Talamini – soldato dell’81 reggimento fanteria – 209 comp. Mitraglieri Fiat – nato il 5 maggio 1895 (a Venezia) – morto il 17 giugno 1918 – a Cà Malipiero – sul canale della Fossetta”. – Morì in uno degli ultimi scontri della Fossetta. La salma rimase due giorni insepolta custodita nell’oratorio di Cà Malipiero; il giorno 19, cessato il combattimento, fu dai compagni portata alla sepoltura. (Mons. Dott. Costante Chimenton, S.Donà di Piave e le succursali di Chiesanuova e di Passarella, S. A. Tipografia Editrice Trevigiana 1928).
Per approfondimenti sulla storia di chi ha vissuto a Cà Malipiero consiglio di visionare il seguente link:
Altre immagini dell’anno 2018.
Mi congratulo con lo storico e ringrazio per il rigore e la passione con cui ci fa conoscere la storia del nostro territorio.
La ringrazio..
Grazie Michele per le emozioni che mi ha trasmesso questo momento storico vissuto in prima persona perché nata con l inizio di quella guerra e in quei posti ben raccontati da te . CA Malipiero,un piccolo paesino ,una chiesetta e un centinaio di brave persone,dove tutti ci volevamo bene e ci aiutavano.grazie ancora e complimenti Livia Giusto.
La ringrazio. Molto gentile..
Sono nata a Ca’ Malipiero durante la seconda guerra mondiale .li ho vissuto con fratelli cugini zii,nonni e con persone di altre quattro famiglie : i Tozzato ,Ormenese Cattai in tutto un centinaio .ho vissuto tutto quello che è stato detto da Michele con dovizia di particolari .grazie per le emozioni che mi sono state date.e complimenti .con stima da Livia
Ci passo spesso vicino in bici: adesso lo guarderò con sguardo diverso.